Alcuni Concetti chiave dell’approccio sistemico-relazionale

1) L’uomo è un “sistema”

Ogni sistema famigliare si può classificare in aperto o chiuso. Il sistema aperto è caratterizzato da confini permeabili, ossia può avvenire un passaggio di informazione proveniente dall’esterno. Il sistema chiuso ha confini impermeabili ed è un sistema disfunzionale in quanto rigido. Al contrario il sistema sano ha confini permeabili e vi è un adeguato scambio tra interno e esterno. La tendenza dell’interazione umana ad organizzarsi secondo regole, che è la caratteristica per cui essa si configura come sistema, rende possibile riconoscere le proprietà fondamentali dei sistemi aperti, che sono essenzialmente tre: totalità, equifinalità e retroazione.

  • Totalità: il comportamento di ogni individuo all’interno di un sistema interattivo è in rapporto con il comportamento di tutti gli altri membri o in dipendenza da esso e, se muta una parte, muta il tutto.
  • Equifinalità: in un sistema aperto i risultati non sono causati dalle condizioni iniziali, ma dalla natura del processo o dai parametri del sistema, cioè dalla natura della sua organizzazione. In altre parole, gli stessi risultati possono avere delle origini diverse.
  • Retroazione: una particolare modalità di trasmissione delle informazioni, ossia una parte dell’informazione trasportata nel canale principale. Vi sono due tipi di retroazione: retroazione negativa e retroazione positiva. Attraverso la prima si mantiene un equilibrio entro un certo schema prefissato, mentre, attraverso la seconda, si produce un mutamento di stato in quanto vi è una perdita di equilibrio che porta al cambiamento. Segue che, attraverso il mutamento di stato, vi è un nuovo equilibrio nella relazione, la quale inevitabilmente si modifica.

2) I tre assiomi della comunicazione:

  • non si può non comunicare: se ogni comportamento è relazione, non esiste un non-comportamento, di conseguenza, si comunica sempre. Tuttavia ci sono delle situazioni in cui si desidera evitare di comunicare e si adottano modalità per tentare di non comunicare. Queste ultime, in alcuni casi, possono portare alla comunicazione patologica. Per rispondere ad una comunicazione di A, B può mettere in atto 4 soluzioni: rifiuto, accettazione, squalifica, disconferma. Si aggiunge anche una quinta soluzione: il sintomo come comunicazione;
  • ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione: una comunicazione non soltanto trasmette l’informazione, cioè il contenuto, ma anche, ed al tempo stesso, determina un certo tipo di relazione, la comunicazione sulla comunicazione, ossia la meta-comunicazione. La patologia spesso nasce dalla contaminazione e confusione tra i due livelli;
  • due modi per comunicare: numerico e analogico. Il primo si esprime con la parola, il secondo attraverso l’immagine esplicativa. Corrispondono, in altre parole, al linguaggio verbale e non-verbale. Una patologia della comunicazione può nascere, appunto, da errori nella traduzione del modulo analogico in quello numerico e viceversa.

3) Sintomo, diagnosi e intervento terapeutico nell’ottica sistemica

Secondo il modello sistemico il sintomo è l’espressione di un disagio che investe nella sua totalità il sistema di cui l’individuo fa parte. Il paziente diviene “paziente designato” di una disfunzione del sistema causata spesso dalla rigidità dei modelli relazionali abituali. Il sintomo non è più una “caratteristica dell’individuo”, ma “qualità del sistema”.
Di conseguenza cambia anche il concetto di diagnosi rispetto alla tradizione psichiatrica. Dato che l’unità diagnostica non è più l’individuo, fare diagnosi non implica più cristallizzare la problematicità che il sintomo esprime in un’etichetta statica, ma significa collocare il disagio dell’individuo all’interno del contesto complessivo in cui si manifesta e consideralo, quindi, un’espressione transitoria, suscettibile di cambiamento. In una coppia in crisi il problema non è il conflitto, ma come quest’ultimo viene gestito dalla stessa.
Più un sistema è rigido e bloccato intorno ad un numero ridotto di sequenze comunicative possibili, più facilmente esso è disturbato dalla presenza di comportamenti abitualmente considerati sintomi di malattia mentale e da una condizione di sofferenza tra i suoi membri. Il sintomo, di conseguenza, assume un duplice significato: è espressione, in un membro, della sofferenza di un sistema che non riesce ad evolvere verso più maturi stadi di crescita e, parallelamente, potente rinforzo dello status quo.

Un esempio di un sistema rigido e disfunzionale

Nei sistemi disfunzionali può verificarsi una rigida utilizzazione di un figlio nei conflitti tra i coniugi.

Come avviene?

  • Ciascun genitore pretende che il bambino parteggi con l’uno contro l’altro (in tale struttura il bambino è paralizzato in quanto ogni mossa che lui fa è definita da uno dei due genitori come un attacco);
  • i genitori negoziano le loro tensioni coniugali tramite il figlio per mantenere il loro sistema coniugale in un’ illusoria armonia (i coniugi rinforzano ogni comportamento deviante del figlio perché ciò permette loro di sviare i loro problemi di coppia nei problemi specifici della loro funzione genitoriale);
  • uno dei due genitori si allea al figlio in una coalizione rigida contro l’altro genitore.

In questi casi l’obiettivo terapeutico che generalmente ci si pone è quello di ristrutturare l’organizzazione del sistema considerando il funzionamento genitore-bambino.
Tale obiettivo terapeutico può essere raggiunto attraverso diverse strategie. Ne vengono delineate alcune:

  • se il bambino fa parte di un modello transazionale che tende a evitare il conflitto può essere utile al terapista impedire che continui a mantenere la sua posizione abituale nei negoziati della coppia;
  • il terapista può anche utilizzare la tattica di aumentare la forza dei confini del sottosistema della coppia senza bloccare apertamente la partecipazione del figlio;
  • il terapeuta può anche ristrutturare i genitori in una coalizione contro il figlio che è stato assunto quale membro della triade rigida;
  • è possibile anche spingere la coalizione di un genitore supercoinvolto e il figlio a un eccesso tale da rendere instabile il sistema in quanto si determinerà una crisi che forzerà la famiglia a reagire in modo nuovo;
  • il terapeuta, nel caso ad esempio di un ragazzo fobico con una madre iperprotettiva, si può associare al padre sferrando un attacco ancora più forte contro il ragazzo e bloccando la risposta protettiva della madre che arriva in automatico quando vi è un attacco da parte del padre;
  • si può anche spingere un altro componente della famiglia ad assumere il ruolo del paziente designato.

Ciò che è importante sottolineare è che la famiglia non cambia dopo un unico intervento, ma richiede un continuo processo di coinvolgimento nella direzione dell’obiettivo terapeutico.

In ogni terapia niente è lasciato al caso perché viene sempre attuato un processo diretto verso un obiettivo specifico.